L’integrazione ospedale/territorio nella cura e tutela della salute
Augusto Cavina, Direttore generale Policlinico di Modena
Buongiorno. Grazie per l’invito e complimenti a Rubbiani e al Responsabile per gli Enti Locali per aver deciso di discutere questo importante argomento.
Ovviamente l’Azienda Ospedaliera non può non aderire a questo progetto della politica per i piani di salute, dato anche il suo peso nell’ambito sanitario di questa provincia: oltre il 30% di tutti i ricoveri avvengono nell’Azienda Ospedaliera ed oltre il 50% dei ricoveri specialistici. Io, dopo quello che è stato detto e per rispettare assolutamente i 10 minuti assegnatemi, farò solo alcune sottolineature.
Giustamente, nel Piano Sanitario Regionale e in tutti i documenti si sottolinea l’importanza del concetto di integrazione per il funzionamento del sistema sanitario regionale e l’integrazione non è solo necessaria tra ospedale e territorio; l’integrazione è necessaria all’interno degli ospedali molto più di quella che c’è oggi, data la frammentazione dell’intervento creato dalla specializzazione e quindi la necessità di ricomporre a unitarietà l’intervento; l’integrazione è necessaria perché le prestazioni di uno stesso processo assistenziale vengono erogate in più sedi, quindi è necessaria un’integrazione organizzativa. L’integrazione è necessaria perché nel processo assistenziale devono essere compresi diversi aspetti sanitari e sociali, ma direi che c’è un altro livello di integrazione, forse il più importante ed è il livello dell’integrazione culturale. Le organizzazioni, soprattutto le organizzazioni professionali non è che funzionino, non si muovono sulla base dei documenti o delle circolari: si muovono fondamentalmente sulla base dei valori dei professionisti, di chi comunque ha un largo margine di autonomia. Quindi, io sono convinto che il primo livello, il primo tipo di integrazione, quella più importante, è l’integrazione culturale per ridurre le distanze fra professionisti, manager, politici e utente, cioè un comune sentire su alcuni aspetti fondamentali. Allora, io mi chiedo: i valori, le strategie e gli obiettivi del Piano Sanitario Regionale possono essere, costituire dei valori comuni per quest’integrazione culturale? I concetti di orientamento ai problemi di salute e non, focalizzando l’attenzione solo sui servizi, l’universalità e l’equità nell’accesso alle cure, l’efficacia e l’appropriatezza, cioè privilegiare una pratica clinica organizzativa e programmatoria, cercando di privilegiare gli interventi ritenuti più probabilmente efficaci ed appropriati è un valore. La responsabilizzazione e l’autonomia dei professionisti è un valore che può integrare e può trovarci tutti d’accordo? Io sono convinto di sì, ma solo se questo avviene allora i servizi potranno integrarsi, potranno avere dei comportamenti di integrazione.
I livelli di integrazione sono diversi; io ho parlato prima di integrazione organizzativa ed è proprio questa ad esempio fra ospedali e ospedali, fra ospedali e territorio oppure fra servizi di base fra di loro. I modelli sono già noti, il Piano Sanitario Regionale individua il modello di organizzazione di rete integrata di servizi per le funzioni di base e delle reti integrate dei servizi con gerarchie di funzioni, così detto “hub and spoke” per i servizi specialistici.
Questi sono modelli che fra l’altro sono già stati sperimentati in altri Paesi, basti pensare i programmi per clientela del Canada, ai network delle reti integrate dei servizi degli Stati Uniti; quindi non c’è più bisogno di inventare, oppure c’è bisogno di inventare pochissimo, bisogna soltanto adeguare alla nostra realtà. Quello che è importante è che bisogna modificare la nostra cultura storica organizzativa e forse aumentare la conoscenza. Perché bisogna modificare la cultura? Se noi vogliamo creare un sistema di rete intanto bisogna standardizzare dei percorsi, e devono essere dei percorsi standardizzati il più possibile, ovviamente su base di un consenso anche medico, scientifico, organizzativo su cosa bisogna fare e trasversale alle diverse aree; quindi bisogna passare da un’organizzazione basata sulle aree, sulle specialità ad un’organizzazione per processo; questo noi ce lo stiamo ripetendo da molto tempo. Probabilmente dobbiamo ancora discutere e convenire su cosa questo vuol dire in termini di cambiamento organizzativo.
Stiamo facendo delle esperienze importanti: ad esempio ricordo il gruppo di lavoro interaziendale sul tumore della mammella, ricordo il gruppo di lavoro interaziendale della pneumologia, il gruppo di lavoro interaziendale della cardiologia, ricordo il gruppo di lavoro interaziendale del materno-infantile; quindi stiamo già lavorando proprio a dei percorsi che integrino i diversi presidi ospedalieri a seconda del loro livello di specialità della loro vocazione e integrazione con i servizi territoriali.
L’emergenza-urgenza, grazie Roberto, sicuramente è uno degli esempi principi di integrazione. Ma oltre all’integrazione organizzativa è necessaria un’integrazione professionale, cioè definire nel processo l’azione, l’intervento delle diverse professionalità perché non può esserci integrazione senza interprofessionalità, non voglio arrivare al concetto di interdisciplinarietà perché forse è una tappa ancora più ambiziosa. Ecco, però, dicevo prima, bisogna trovare il consenso; allora, bisogna trovare il consenso anche su quali sono le prestazioni più efficaci. E qui è necessario avere anche nuove conoscenze. Ora, io credo che Modena si trovi in una situazione privilegiata, perché comunque ha la possibilità di una struttura di tipo scientifico-metodologico di supporto che può supportare i professionisti nella identificazione delle conoscenze scientifiche sulle quali arrivare al consenso. Quindi, in conclusione, questo concetto di integrazione che richiamiamo a parte, non tocco qui perché è già stato toccato il discorso dell’integrazione fra l’intervento sanitario e non sanitario.
L’integrazione, a mio avviso, deve diventare realmente un valore. Per essere un valore deve essere condiviso e deve essere condiviso innanzitutto dalle diverse componenti professionali; quindi non bisogna né assumerlo in maniera fideistica, né rifiutarlo, bisogna approfondire questo concetto: che i modelli organizzativi esistono già, non c’è bisogno di inventarli, mentre, probabilmente è necessario per noi sviluppare la cultura in termini di conoscenza dei servizi e delle prestazioni più efficaci e di cultura organizzativa; però, direi anche della cultura di lavorare assieme, fra professionisti, gestori e programmatori, perché è necessario coerenza, perché, mentre noi chiediamo ai professionisti coerenza nella loro pratica con le evidenze di efficacia, è necessario anche che chi organizza e chi gestisce applichi la stessa coerenza e la stessa coerenza deve essere nella programmazione. Ecco, questo può diventare un filo conduttore per tutti. Ecco, allora, probabilmente, se noi applichiamo questo, avremo anche meno distonia fra noi, i gestori, i politici, i professionisti ed i cittadini; quindi, tutti gli inviti e le iniziative a rendere il cittadino competente, cioè in grado non di essere semplicemente informato ma di venire a dire la sua sulle scelte di programmazione e di organizzazione e sugli elementi che incidono sullo stato di salute … ecco, allora, il concetto di integrazione potrà diventare nella realtà quella cosa importante che è teoricamente. Grazie per l’attenzione.